venerdì 30 settembre 2011

L’effetto degli accertamenti amministrativi sull’evasione - Ricerche sull'evasione fiscale (5)

Torniamo in questo post a considerare i fattori che spiegano l’evasione sulla base del modello teorico tradizionale.

Concentriamo qui sull’effetto degli accertamenti amministrativi sull’evasione. Come abbiamo visto nel post del 27 settembre 2011 più è alta la probabilità di essere controllati più aumenta la fedeltà fiscale.

Le evidenze empiriche su questo aspetto, sia basate su esperimenti di laboratorio sia su dati reali delle dichiarazioni fiscali, sembrano confermare questa tesi. Vanno però sottolineati due aspetti: (i) la frequenza degli accertamenti deve essere sufficientemente elevata; (ii) l’effetto deterrente degli accertamenti sembrerebbe essere abbastanza limitato.

Osservando l’Italia si può sostenere, anche contrariamente a qual è la percezione comune, che la frequenza degli accertamenti è elevata se confrontata con quella di altri paesi. Dalla Relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale presentata dal Governo nel 2009 emerge che la probabilità per una partita Iva di essere controllata è pari al 4,4%. Negli altri paesi, come sostiene Alessandro Santoro nel suo libro (si veda post del 22 settembre 2011), questa percentuale è ben più bassa (tra l’1 e il 2%).

Nonostante i molti controlli effettuati l’evasione rimane in Italia un fenomeno molto diffuso. Ciò può essere spiegato, da un lato, proprio dal fatto che i controlli hanno un effetto deterrente abbastanza limitato. Oltretutto va aggiunto che subire un accertamento non vuol dire necessariamente essere sanzionati, anche nel caso in cui si fosse evaso. Infatti, il sistema giuridico italiano è così complesso e articolato che i contenziosi spesso si concludono con un nulla di fatto per l’Amministrazione fiscale.

Altro aspetto rilevante è che gli studi empirici hanno evidenziato come anche l’aver già subito un controllo non è un forte deterrente verso l’evasione. Difatti possono verificarsi due fenomeni che spingono un evasore a continuare ad evadere anche dopo aver subito un accertamento: (i) se il controllore non ha scoperto buona parte dei redditi evasi, oppure la sanzione comminata è irrisoria, il contribuente può concludere che evadere conviene; (ii) se l’esperienza di subire un accertamento può essere negativa sotto l'aspetto psicologico, la volontà di recuperare le somme scoperte dall’Amministrazione fiscale può spingere il contribuente ad aumentare il suo grado di infedeltà fiscale.

 Immagine tratta da tg24.sky.it

giovedì 29 settembre 2011

L’effetto delle aliquote fiscali sull’evasione - Ricerche sull'evasione fiscale (4)

Nel post del 27 settembre 2011 abbiamo esaminato quali sono le principali caratteristiche del modello teorico tradizionale con il quale si è tentato di individuare quali sono i fattori che spiegano l’evasione e in quale modo.

Esaminiamo in questo post gli studi empirici che hanno cercato di trovare delle evidenze che potessero confermare quanto teorizzato da questo modello.

Concentriamo qui sull’effetto dell’aliquota fiscale sull’evasione. Come abbiamo visto l’effetto atteso dal modello teorico è negativo, cioè all’aumentare dell’aliquota dovrebbe diminuire l’evasione. Le evidenze empiriche su questo aspetto sono molto contrastanti.

Da un lato ci sono infatti una serie di studi basati su esperimenti di laboratorio. Questi studi si basano su esperimenti, fatti solitamente ad una platea più o meno ampia di studenti universitari, ai quali si chiede di partecipare ad una sorta di “gioco”, generalmente ben congegnato, che cerca di replicare il funzionamento di un sistema fiscale. Sulla base di questi studi emerge come una maggiore aliquota provochi un aumento dell’evasione (si veda ad esempio Bayer e Sutter, studio molto tecnico in lingua inglese).

Dall’altro lato, ci sono evidenze basate su vere e proprie dichiarazioni fiscali, con relativi accertamenti di eventuali evasioni. Sulla base di questi dati Feinstein trova invece che l’aliquota fiscale ha un effetto negativo sull’evasione, cioè al suo crescere l’infedeltà fiscale tende a diminuire.


Va detto, inoltre, che ci sono altre informazioni che sembrano andare in questa stessa direzione. Guardando infatti ai paesi del nord Europa, come Norvegia e Svezia, si rileva che negli anni Novanta la loro evasione era circa la metà di quella italiana, mentre la pressione tributaria era ben superiore. Bisogna poi tener che il fenomeno dell’evasione è stato sempre rilevante in Italia, anche quando le aliquote erano ben più basse.

In conclusione, l’evidenza sull’effetto dell’aliquota fiscale sull’evasione è quanto meno incerta, e dovrebbe quindi indurre i nostri politici ad essere più cauti nel valutarne le conseguenze (si veda ad esempio questa dichiarazione di Berlusconi ).

mercoledì 28 settembre 2011

La Riforma con la “R” maiuscola è la lotta all’evasione


In un recente articolo Luca Ricolfi (La Stampa del 26/09/2011) ha espresso la sua opinione circa “l’inganno” celato dietro l’attuale lotta all’evasione.

La tesi di Ricolfi è che il faro acceso sugli evasori, anche da parte di un Governo di destra “che ha sempre strizzato l’occhio all’evasione”, sia un’arma di distrazione di massa al fine di permettere ai nostri politici di sfuggire dalle loro responsabilità per le mancate riforme attuate in questi anni.
Se effettivamente attuata la lotta all’evasione determinerebbe, secondo Ricolfi, solo effetti recessivi, con aumento della disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, aumenti dei prezzo e conseguente contrazione dei consumi.

Le opinioni espresse da Ricolfi sono però secondo me non correte sotto due punti di vista.

In primo luogo, sostenere che con la lotta all’evasione si voglia distrarre l’opinione pubblica mi sembra un’affermazione non sostenibile. L’evasione è infatti proprio uno dei più grandi e storici problemi dell’Italia, che ha drenato una ammontare incredibile di risorse.
Alberto Alesina e Mauro Marè sostengono, ad esempio, che “se gli italiani avessero evaso, dal 1970 in poi, le imposte tanto quanto gli americani, il debito pubblico in Italia nel 1992 sarebbe stato appena superiore all'80% del Pil, cioè all'incirca il 30% in meno del livello del 1992 (108%). Se gli italiani avessero evaso tanto quanto gli inglesi, il debito pubblico sarebbe stato appena superiore al 60% del Pil, non lontano dal limite previsto dagli accordi di Maastricht” (“Evasione e debito”, in “La finanza pubblica italiana dopo la svolta del 1992”, Il Mulino, 1996). Portare quindi l’evasione in Italia su livelli fisiologici, o non su quelli patologici attuali, sarebbe una grandissima riforma, anzi sarebbe forse la Riforma con la “R” maiuscola (nella Relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all'evasione fiscale del 2007 si legge che "tre italiani su quattro oggi ritengono che l’evasione fiscale sia un
problema grave o gravissimo
").

La lotta all’evasione può infatti essere considerato un virus contagioso che potrebbe diffondere presso gli italiani un concetto di sana e robusta legalità. Per dirla come Cetto La Qualunque, “le tasse sono come la droga, se le paghi uno volta, anche solo per provare, finisce che poi ti viene la voglia” (guarda il video sottostante).

Sul tema più strettamente economico, cioè sui risvolti recessivi della lotta all’evasione, Ricolfi dimentica di considerare che l’evasione costituisce un grande ostacolo alla libera concorrenza. Chi evade si avvantaggia illecitamente verso la sua concorrenza onesta. Va sottolineato, infatti, che se il fenomeno dell’evasione in Italia è molto diffuso, non si può sostenere che tutte le imprese evadono.
Da alcuni studi si riscontra infatti che l’evasione è diffusa soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese, che possono mantenere in modo più agevole una doppia contabilità.
Le grandi imprese, invece, ricorrono molto di più all’elusione, grazie soprattutto all’aiuto di consulenti fiscali sparsi per il mondo.
Le imprese di media di dimensione, quelle che producono buona parte delle nostre esportazioni, hanno invece una dimensione tale per cui l’evasione non è facilmente percorribile, anche perché sono molto più soggette ai controlli dell’Agenzia dell’Entrate, mentre pratiche di elusione non sono generalmente alla loro portata. La concorrenza sleale degli evasori/elusori grava quindi soprattutto su queste imprese, che per tentare di compensarla negli anni hanno molto investito nella ricerca di efficienza e che potrebbero espandere ulteriore la loro attività, con i relativi riflessi occupazionali, se la “distruzione creativa” schumpeteriana, citata di Ricolfi, andasse proprio a colpire quelle imprese che sono sopravissute al mercato solo perché hanno evaso/eluso e/o si sono avvalse di lavoratori in nero.



Le detrazioni possono essere una soluzione contro l’evasione?

Una tesi abbastanza diffusa nell’opinione pubblica, e soprattutto in alcuni esponenti politici, è che la soluzione maestra per debellare l’evasione sia il cosiddetto conflitto di interessi. In altri termini, si vorrebbe introdurre nel sistema fiscale un ampio spettro di detrazione a favore di chi effettuata l’acquisto di un bene o di un servizio. Il conflitto di interesse con il venditore, che è interessato ad evadere, emergerebbe per il fatto che l’acquirente, per ottenere la detrazione, deve poterla certificare presentando la fattura o la ricevuta fiscale.

Ma questo sistema è effettivamente efficace contro l’evasione? Per verificarlo ripercorriamo un esempio presentato da Alessandro Santoro nel suo libro (si veda post del 22 settembre 2011), solo leggermente modificato per tener conto dell’aumento dell’Iva recentemente deliberato dal Governo.

Ipotizziamo che un commerciante ci venda un bene dell’ammontare, al netto dell’Iva, di 1.000 euro (si veda l’esempio 1 della tabella sottostante). Se il commerciante emette regolare fattura, e ipotizzando che al fisco deve pagare una aliquota fiscale del 30%, ne consegue che il suo ricavo, al netto delle tasse, sarà pari a 700 euro. Si apre quindi per il commerciante “egoista” la possibilità di applicare uno sconto sui 1.000 euro del prezzo di vendita, nel caso in cui l’acquirente non richiedesse a fattura, fino ad un massimo di 300 euro (1.000 - 700).



Dal lato dell’acquirente, ipotizziamo invece affianco all’Iva del 21%, che si va a sommare alla spesa dei 1.000 euro, ci sia la possibilità di dedurre il costo della compravendita del 51%. Ne discende che il costo effettivo del bene acquisto, a fronte dell’emissione della fattura, sarebbe pari a 700 euro (costo di vendita più l’Iva, meno la detrazione). Essendo questo costo esattamente pari al prezzo scontato massimo che il commerciante può applicare si può concludere che la transazione avverrà necessariamente con l’emissione della fattura.

Possiamo allora concludere che effettivamente abbiamo trovato la soluzione all’evasione? A veder bene i numeri sul gettito fiscale potremmo proprio dire di no. Infatti dalla transazione descritta il fisco non incassa nemmeno un euro. Infatti, a fronte dell’imposta pagata dal commerciante di 300 euro e dell’Iva di 210 euro (in tutto 510 euro), l’acquirente ha diritto ad una detrazione pari esattamente a 510 euro.

La soluzione per avere comunque un gettito fiscale positivo è quella di ridurre al di sotto del 51% le detrazioni? Assolutamente no, se la detrazione fosse più bassa rispetto a questo “numero magico” allora si aprirebbe uno spazio per l’evasione. Infatti, il commerciante potrebbe scontare il bene, a fronte della mancata emissione della fattura, fino ad un prezzo inferiore a quello che l’acquirente pagherebbe tenendo conto della detrazione (si veda l’esempio 2 della tabella).

Va inoltre considerato che i soggetti con redditi al di sotto della soglia minima di contribuzione non avrebbero alcun incentivo a chiedere fatture/ricevute/scontrini in quanto non avrebbero tasse da poter detrarre.

In conclusione, il sistema delle detrazioni è effettivamente efficace per eliminare l’evasione solo se il fisco rinunciasse al gettito, cosa ovviamente non possibile.

martedì 27 settembre 2011

Il modello teorico tradizionale - Ricerche sull'evasione fiscale (3)

Il primo modello teorico che si è cimentato con l’analisi delle determinanti dell’evasione fiscale sui redditi è stato sviluppato da Allingham e Sandmo nel lontano 1972 (per scaricare lo studio, in lingua inglese, clicca qui).

Come per ogni modello teorico, soprattutto nel campo dell’economia, anche quello di Allingham e Sandmo si basa su una serie di ipotesi semplificatrici (per maggiori dettagli si veda Bernardi e Franzoni). Nello specifico si ipotizza che:

a) Il contribuente agisca razionalmente per massimizzare egoisticamente il suo benessere;

b) Il contribuente sia avverso al rischio;

c) Il contribuente conosca il suo vero reddito imponibile;

d) Che il sistema fiscale sia estremamente semplice, cioè basato su una sola aliquota fiscale che va applicata sul reddito dichiarato;

e) Che con una certa probabilità, conosciuta dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate effettui dei controlli;

f) Che a fronte dei controlli il contribuente debba subire dei costi, sia in termini di sanzioni sulle somme non dichiarate, sia in termini di disagio (tempi dell’accertamento), costi che sono conosciuti dal contribuente.

Dato questo modello emergono le seguenti conseguenze:


In sintesi, il modello in esame dà delle indicazioni che fanno parte della percezione comune, cioè che per diminuire l’evasione bisogna aumentare i controlli, soprattutto verso i contribuenti con redditi potenzialmente elevati (liberi professionisti, commercianti) e inasprire le sanzioni.

Lo stesso modello offre però anche un’indicazione che va contro quanto teorizzato soprattutto dalla destra italiana, e in particolare da Berlusconi: per abbattere l’evasione bisogna infatti aumentare le aliquote e non invece diminuirle.Questo risultato dipende essenzialmente dal fatto che i soggetti più poveri, proprio in conseguenza dell'incremento delle aliquote fiscali, tendono ad essere più avversi al rischio e quindi ad evadere meno.

In ogni modo queste indicazioni, essendo basate esclusivamente su un modello teorico, necessitano di verifiche empiriche come ogni buon procedimento scientifico richiede. Molti studi si sono spinti in questa attività, ma rimandiamo a futuri post il compito di esaminarli.

lunedì 26 settembre 2011

Contro l’evasione non bisogna nascondersi dietro l’anonimato

Affrontiamo in questo post il tema dell’anonimato, non quello dell’evasore ma quello di chi è solo testimone di casi di evasione.

Esistono infatti sul web alcuni siti che permettono di segnalare, in forma anonima sia per il segnalante che per il segnalato, casi di evasione e di registrarli in un apposito database. Nello specifico questi siti sono evasori.info e tassa.li.


Entrambi questi siti sono ben realizzati e chi li ha realizzati è sicuramente un “avversario” dell’evasione. Allo stesso tempo, però, non possono ritenersi uno strumento efficace contro l’evasione, anzi possono paradossalmente aiutare a farla sopravvivere.



Infatti, la segnalazione anonima non permette in alcun modo di poter combattere chi evade, tanto più che rimane anonimo anche l’evasore (non potrebbe essere altrimenti per evitare eventuali gogne sul web anche nel caso in cui non ve ne fossero i presupposti). Dall’altro lato, il segnalante può sentirsi con la coscienza a posto per aver segnalato il caso d’evasione, ma in realtà avrebbe potuto, e forse dovuto, fare di più.

Un illecito come la mancata emissione di fattura/ricevuta/scontrino deve essere infatti segnalato all’autorità competente. A tal fine in Italia è stato istituito nel 1996 il numero di pubblica utilità 117, al quale risponde la Guardia di Finanza.

Chiamando questo numero si può segnalare in pochissimo tempo chi ha evaso, fornendo l’indirizzo, l’eventuale nome riportato sull’insegna se trattasi di esercizio commerciale e la tipologia di esercente (bar, negozio di abbigliamento, ecc.), nonché il prodotto o servizio acquistato e il prezzo pagato.

Ovviamente a fronte di questa denuncia, perché di questo si tratta, il finanziere che risponde al telefono ci chiederà le nostre generalità (nome e cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza e un numero di telefono), dopodiché se ci troviamo ancora sul posto potremo anche attendere l’intervento immediato di una volante della Guardia di Finanza, o in caso contrario la GdF farà successivamente un riscontro e potrebbe chiederci di formalizzare la denuncia presso il Reparto del Corpo più vicino.

Ci sono però due aspetti psicologici che inibiscono molti onesti contribuenti ad effettuare questa chiamata: (i) la voglia di evitare qualsiasi disturbo, come quello di dover eventualmente formalizzare la denuncia; (ii) la sensazione di essere un delatore o, detto in parole povere, uno “spione”.

Il messaggio “implicito” che offrono questi siti che prevedono l’anonimato può di fatto avvalorare queste sensazioni, permettendoci in particolare di non metterci la faccia nella lotta all’evasione.

Per poter combattere un fenomeno di massa così diffuso in Italia è necessario invece che tutti i cittadini facciano la loro parte e che non rimangano nell’oscurità.

venerdì 23 settembre 2011

L’evasione: un vizio tramandatoci dagli antichi Romani?

Alessandro Santoro, nel suo libro “L’evasione fiscale. Quanto, come e perché”, sostiene che l’ipotesi che nella cultura mediterranea il fenomeno dell’evasione attecchisca più facilmente non è priva di fondamento.

Infatti, Alessandro Santoro scrive che le cronache antiche segnalano come “i Romani seppellivano i loro gioielli per evitare la tassa sul lusso”, da cui la conseguenza che “i paesi mediterranei – Grecia, Italia, Spagna e Portogallo – sono tra quelli con i tassi di evasione – o, meglio, di economia sommersa – più elevati nel mondo occidentale” (pag. 10).

Facendo un po’ di ricerche ho cercato di approfondire questo interessante aspetto storico e credo che la tassa a cui si riferisca il prof. Santoro sia la Lex Oppia. Questa legge fu promulgata nel 215 a.C. con l’obiettivo di ottenere le risorse finanziarie necessarie per sostenere le spese della seconda guerra punica. Con la Lex Oppia si introduceva, in particolare, una tassa sul lusso che prevedeva l’obbligo di registrare ad un valore legale moltiplicato per 10 gli ornamenti, le vesti femminili e le bighe di valore superiore a 15 mila assi. Stesso valore legale doveva essere registrato per gli schiavi sotto i 20 anni che, nel corso degli ultimi 5 anni, fossero stati pagati più di 10 mila assi. Questi “beni” erano quindi soggetti ad una tassa del 3 per mille sul loro valore legale.

L’aspetto interessante di questa legge è che fu introdotta in una situazione di emergenza, in quanto la Repubblica Romana era intimorita dalla forza di Cartagine e doveva quindi rispondere militarmente, ma fu poi mantenuta anche dopo la vittoria della seconda guerra punica, quando oramai non vi erano più l’esigenze finanziarie per le spese belliche, con uno scopo diverso (per un maggiore approfondimento sulla persistenza della lex oppia oltre l’emergenza si veda Lucas Rentschler e Christopher Dawe). Infatti, Marco Porcio Catone, detto il Censore, con l’obiettivo di “censurare” il comportamento troppo disinvolto delle donne romane si batté per il mantenimento di questa legge la cui finalità dall’esigenza economica si era tramuta in quella morale. L’opposizione delle donne dell’epoca, che scesero anche in piazza per protestare, spinse poi al ritiro della lex oppia.

La storia della tassa sul lusso romana ci insegna però come l’aspetto psicologico dietro l’infedeltà fiscale sia molto importante: l’aver avvertito la lex oppia come una legge ingiusta, in quanto tassava inutilmente il lusso seppur non ve fosse l’esigenza, è probabilmente una delle motivazioni che ha spinto ad evaderla e a contrastarla. Analogamente, pagare le tasse ad un’amministrazione inefficiente e corrotta può essere giudicato come un’ingiustizia che nella psicologia dell’evasore lo giustifica. Al riguardo Adam Smith, il padre dell’economia moderna, sosteneva che “In quegli stati in cui esiste un generale sospetto che molte delle spese pubbliche non siano necessarie e che le entrate pubbliche vengano utilizzate male, le leggi che le proteggono vengono poco rispettate” (La ricchezza delle nazioni, 1786, pag. 563).


 Immagine tratta da www.historyblog.it

giovedì 22 settembre 2011

L’evasione fiscale. Quanto, come e perché - Recensione libri (1)

Inauguriamo con questo post un capitolo nuovo del blog Contro l’Evasione, quello della recensione di libri che si sono appunto occupati dell’evasione.

Il libro in esame è quello di Alessandro Santoro del 2010, “L’evasione fiscale. Quanto, come e perché”, edito da il Mulino (costo in copertina di 9,80€).

Questo libro riesce in poche pagine (120 per la precisione) a ripercorrere tutti i principali aspetti che caratterizzano l’evasione fiscale in Italia con un linguaggio chiaro e divulgativo, ma che allo stesso tempo non tralascia di considerare anche le tematiche più tecniche.

Il libro è articolato in 7 capitoli, ognuno dei quali offrono molti spunti interessanti sia per un’analisi più articolata del fenomeno, sia per individuare quali sono le azioni di contrasto all’evasione più efficaci.

Nello specifico, nel 1° capitolo si affronta il tema della definizione di cosa sia l’evasione e di quali siano le sue implicazioni economiche, sia per l’economia dei privati sia per quella pubblica.

Nel 2° capitolo viene dato un focus specifico su quali siano i numeri sull’evasione in Italia, un aspetto molto importante per interpretare il fenomeno e le sue dinamiche e su cui bisognerebbe dedicare molta attenzione.

Nel 3° capitolo l’autore si concentra su quello che i numeri non dicono, o perché sono relativi a fenomeni difficilmente osservabili (paradisi fiscali, frodi, economia illegale), oppure perché dalla loro interpretazione di comodo da parte dei Governi in carica offrono dei quadri distorti della realtà.

Nel 4° e 5° capitolo si passa ad esaminare tematiche più tecniche, ma allo stesso tempo molto importanti per la comprensione di come l’evasione abbia preso piede in Italia. Nello specifico si analizzano le teorie economiche tradizionali che hanno cercato di darne una spiegazione, nonché quelle più moderne, basate soprattutto sulle scienze psicologiche, che sembrano adattarsi meglio ai fenomeni osservati.

Nel 6° capitolo si ripercorre la strada compiuta dal legislatore italiano negli ultimi 30 anni. Questo capitolo è particolarmente interessante perché fa vedere chiaramente come ciclicamente il problema dell’evasione sia stato affrontato o con gli stessi strumenti inefficaci, oppure come sia stato volutamente ignorato.

Infine, nel 7° e ultimo capitolo l’autore offre il suo sguardo su quali siano i passi futuri da compiere per poter trasformare il problema dell’evasione in Italia da patologico a fisiologico.

Immagine tratta da www.mulino.it

mercoledì 21 settembre 2011

Un quiz sull'evasione

Questo post è dedicato agli amanti dei quiz, anche se non a premi.
Chi tra i seguenti uomini politici ha pronunciato queste parole:

i contribuenti titolari di redditi fissi sono tassati fino all’ultimo centesimo (...) con aliquote non indifferenti; mentre, invece, il reddito (...) dei professionisti e degli industriali e commercianti privati sfugge sempre, talvolta in notevole parte e talvolta interamente, al dovere tributario”.

   (A) Vincenzo Visco
   (B) Antonio Di Pietro
   (C) Giulio Tremonti
   (D) Filippo Meda


La risposta esatta è la (D). Molti di voi si chiederanno in quale partito milita l’on. Filippo Meda: nel PDL, nel PD, nell’IDV oppure nell’UDC?
In nessuno di questi, Filippo Meda milita, o meglio militava, nel Partito Popolare e rilasciò questa dichiarazione quando correva l’anno 1920 e lui era Ministro del Tesoro del Governo Giolitti.

L’attualità di queste parole lascia sconcertati, come hanno ben evidenziato Alessandro Santoro e Raffaello Lupi, e fa capire chiaramente come il problema dell’evasione abbia un origine molto lontana.

 Immagine tratta da http://80.241.231.191/patriottismo

martedì 20 settembre 2011

2/ Le misure anti-evasione nella recente manovra economica

Torniamo ad esaminare le misure anti-evasione recentemente emanate dal Parlamento nell’ambito della manovra anti-crisi.

Dopo aver esaminato misura sul reato di evasione (si veda il post del 16 settembre 2011), passiamo a considerare quella relativa alla possibilità per i Comuni di incassare il 100% delle somme evase e da loro accertate.

In particolare, gli ambiti di accertamento su cui i Comuni potranno agire sono i seguenti:
- pratiche di pubblicità abusiva;
- club, associazioni, circoli di comodo al fine di usufruire di agevolazioni o esenzioni dell’Ici;
- segnalazione all’Agenzia delle Entrate di professionisti o commercianti che non sono in regola con il fisco;
- segnalazioni delle opere edilizie effettuate al fine di verificare se le plusvalenze realizzate sono state dichiarate;
- contratti di locazione in nero;
- individuazione dei finti residenti all’estero;
- segnalazione di soggetti senza reddito il cui tenore di vita non rispecchia tale situazione.

Sulla carta questa misura sembrerebbe idonea al contrasto dell’evasione incentivando di più le amministrazioni locali a stanare gli evasori.

Tenendo però conto che prima di questo intervento era già presente una norma che incentivava i Comuni nella lotta all’evasione ma che con poche eccezioni, soprattutto localizzate in Emilia Romagna, non ha dato molti frutti.
Ci sono infatti due ordini di problemi che non hanno permesso di ottenere grandi risultati.

Il primo è che i Sindaci non sono molto propensi ad attuare politiche che potrebbero rendere scontenti un parte del loro elettorato.

Il secondo, connesso anche con il primo, è che i piccoli Comuni non hanno quella dotazione di personale e quelle competenze sufficienti per fare un’attività di contrasto all’evasione. Inoltre, i legami di natura familiare o amicale più stringenti rendono difficile procedere per una via che da molti è considerata, a torto, di delazione fiscale.

lunedì 19 settembre 2011

La lotta al contante per sconfiggere l’economia sommersa - Ricerche sull’evasione fiscale (2)

In un recente studio di due ricercatori dell’Associazione Bancaria Italiana, Daniele Di Giulio e Carlo Milani, è stata analizzata la relazione tra l’utilizzo delle carte di pagamento (bancomat e carte di credito) e l’economia sommersa (per scaricare lo studio clicca qui).

Infatti, se le transazioni effettuate tramite banconote sono completamente anonime, quelle effettuate tramite l’utilizzo delle carte non lo sono e per questo facilitano la tracciabilità dei movimenti effettuati e costituiscono un contrasto alle attività irregolari. La detenzione di banconote, specialmente di taglio elevato (500 euro), può avere tra le sue principali motivazioni proprio la volontà di evitare i controlli fiscali. Da ciò deriva che aumentare la diffusione delle carte di pagamento in Italia, a discapito del contante, potrebbe determinare dei notevoli benefici in termini di lotta al sommerso.

Nello studio si pone in evidenza come esista una relazione statistica tra la diffusione delle carte di pagamento e il tasso di lavoro irregolare, proxy del livello di economia sommersa presente su base territoriale. Stimando empiricamente questa relazione gli autori trovano quale potrebbe essere l’impatto sul tasso di lavoro irregolare, e quindi sull’economia sommersa, derivante da una maggiore diffusione delle carte di pagamento.

In particolare, Di Giulio e Milani stimano che un incremento di 10 punti percentuali della quota di famiglie detentrici di carte di debito/credito avrebbe l’effetto di ridurre il tasso di irregolarità di mezzo punto percentuale. Con riferimento alla situazione esistente negli ultimi anni di rilevazione, nell’ipotesi migliore in cui le carte di debito/credito si diffondessero anche presso tutte quelle famiglie che ne sono sprovviste, l’economia irregolare arriverebbe a perdere fino a due punti percentuali del suo bacino di utenza.

Posto che ogni punto di lavoro irregolare determina, in base ai dati Istat, circa un punto e mezzo di economia non osservata, l’effetto in termini di emersione del sommerso è stimato tra i 10 e i 40 miliardi di euro, pari all’incirca tra il mezzo punto e i 3 punti di Pil.

venerdì 16 settembre 2011

1/ Le misure anti-evasione nella recente manovra economica

Due giorni fa il Parlamento italiano ha definitivamente approvato la manovra anticrisi. Tra le misure varate alcune riguardano nello specifico la lotta all’evasione.

In questo post voglio prendere in considerazione la norma che forse ha fatto più scalpore, cioè quella che prevede il carcere per i grandi evasori.

In particolare, d’ora in poi per chi evade più di 3 milioni di euro, e l’ammontare complessivamente evaso supera il 30% del fatturato dell’attività, scatteranno le manette.

Per fare un esempio, quindi, se un imprenditore evade 5 milioni e il suo giro d’affari è pari a 10 milioni allora sarà suscettibile d’arresto. Nel caso in cui il suo fatturato fosse di 20 milioni, invece, potrebbe continuare ad evadere tranquillamente senza rischiare il carcere.

In sintesi, la norma non sembra sicuramente idonea ad andare a colpire la “ciccia” dell’evasione, che si annida soprattutto nelle attività professionali e nelle piccole imprese, che spesso rimangono tali anche per sfuggire ai maggiori controlli fiscali a cui un’azienda di maggiori dimensioni potrebbe essere sottoposta. Inoltre, il fatto che Berlusconi si sia confidato con i suoi collaboratori più stretti dicendo che questa misura è “da Stato socialista” la dice lunga su quante probabilità abbia di essere poi applicata nei fatti e non di rimanere, come moltissime altre leggi italiane, solo un buon proposito.

mercoledì 14 settembre 2011

Lo studio sulle opinioni degli italiani - Ricerche sull’evasione fiscale (1)

Nel 2007 due ricercatori della Banca d’Italia, Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio, hanno condotto uno studio sulle opinioni degli italiani circa l’evasione fiscale (per scaricare la sintesi non tecnica dello studio clicca qui).

Tale studio è basato sulle risposte che i contribuenti hanno dato ad un’apposita sezione monografica dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane che con frequenza biennale viene condotta dalla Banca d’Italia.

Sulla base delle risposte date gli studiosi sono riusciti a costruire un indicatore sintetico della propensione all’evasione (vedi la tabella sotto tratta dallo studio di Cannari e D’Alessio).

Tra le evidenze trovate ve ne sono alcune più scontate, come ad esempio il fatto che la propensione ad evadere sia più alta per i lavoratori indipendenti, ed in particolare per quelli autonomi, rispetto ai dipendenti. Tra questi ultimi, però, si osserva come anche gli operai abbiano un’elevata propensione ad evadere. Ciò sembrerebbe indicare che i meccanismi di riprovazione sociale, come la pubblicazione online dei redditi, possano avere un’efficacia limitata nell’ostacolare il fenomeno dell’evasione in quanto l’atteggiamento di favore verso questo fenomeno è generalizzato. Il fatto che siano quindi gli autonomi quelli che evadono di più sembrerebbe essere solo il risultato del fatto che per questa categoria di lavoratori è più facile evadere.

Dallo studio emerge poi come il comportamento dei singoli contribuenti sia influenzato dall’atteggiamento delle famiglie che risiedono nella stessa provincia (la stessa indicazione è fornita da un recente articolo di Carla Marchesi pubblicato su lavoce.info) nonché dalla propensione ad evadere della provincia da cui proviene il capofamiglia.

La propensione a evadere risulta più alta nelle provincie con più elevata disoccupazione e laddove la qualità dei servizi pubblici è più bassa. Una Pubblica Amministrazione più attenta alle esigenze dei cittadini sembra quindi spingere i contribuenti verso una maggiore fedeltà fiscale.

Infine, l’atteggiamento verso l’evasione risulta essere via via più favorevole al diminuire dell’età e del livello d’istruzione del capofamiglia. 

martedì 13 settembre 2011

Governo Berlusconi “rimandato” sulla lotta all’evasione

Berlusconi, dopo molti anni al governo, si è finalmente accorto che in Italia buona parte dei contribuenti non fa il proprio dovere. Nella recente manovra ferragostana ha deciso quindi che era finalmente ora di chiedere a chi le tasse non le paga di contribuire per salvare il nostro paese dal default. Ma con qual efficacia questa richiesta è stata avanzata?

Tredici esperti fiscalisti hanno risposto a questo quesito avanzato da Il Sole-24 Ore del 5 settembre 2011. Il voto complessivo delle norme antievasione firmate dal duo Tremonti-Berlusconi è, come era prevedibile, insufficiente: un 5 in pagella, con magari la richiesta di seguire un corso di recupero tenuto da Vincenzo Visco, il politico italiano per eccellenza che ha incarnato la lotta all’evasione.

Forse anche grazie al giudizio degli esperti alcune norme sono poi state ritirate al momento della votazione in aula, come ad esempio l’indicazione nel 730 dei conti correnti del contribuente che era evidentemente una duplicazione inutile visto che l’amministrazione fiscale ha già a disposizione una banca dati che contiene queste informazioni.

lunedì 12 settembre 2011

Il terrore degli evasori: la tracciabilità dei pagamenti

La crisi finanziaria che stiamo vivendo ha spinto il governo Berlusconi a cercare risorse con una modalità del tutto sconosciuta a tutto l’esecutivo: la lotta all’evasione. Sarà forse per l’inesperienza in questo campo che si è mancato di utilizzare lo strumento forse più efficace in questo campo, cioè la tracciabilità dei pagamenti.

Il governo Prodi, ed in particolare il viceministro all’economia Vincenzo Visco, aveva previsto una seria ed efficace riduzione della soglia entro cui è possibile effettuare i pagamenti in contanti. A luglio 2008, cioè ben 3 anni fa, questa soglia doveva essere fissata a 100 euro. Ciò avrebbe voluto dire che per la maggioranza dei professionisti che vivono di evasione la vita sarebbe cambiata radicalmente.

L’8 maggio del 2008 accade però un evento che fa aumentare notevolmente la vendita di bottiglie di champagne, ma che al contempo permette agli evasori di vivere felici e contenti: il quarto governo Berlusconi entra in carica. Uno dei primissimi interventi che questo governo fa è proprio la modifica della norma sulla tracciabilità, con un incremento della soglia massima per l’uso del contante di ben 125 volte, cioè da 100 euro a 12.500. Berlusconi ha giustificato questa scelta al fine di evitare che l’Italia diventasse “uno Stato di polizia tributaria”.

Solo con la manovra dell’estate 2010 il governo Berlusconi si è invece accorto che la tracciabilità poteva aiutare i dissestati conti pubblici, per cui la soglia è stata poi abbassata a 5.000 euro, poi ulteriormente dimezzata nella recente manovra fino a 2.500 euro. Rispetto ai 100 euro previsti da Visco c’è però ancora un abisso e l’ammontare previsto non è probabilmente sufficientemente basso da permettere l’emersione di un’ampia fetta di evasione.

domenica 11 settembre 2011

L'Italia: un paese di poveri... o di ricchi evasori?

Il recente balletto della manovra finanziaria, con l’introduzione e successiva modifica o cancellazione di possibili interventi per aumentare il gettito fiscale, ha avuto in fondo un pregio: ha permesso a tutti i cittadini che pagano regolarmente le tasse di avere una visione più precisa di qual è il livello di sfacciataggine di chi invece non le paga.
Infatti, dalle statistiche del Ministero dell’Economia risulta che gli italiani con un reddito superiore ai 300 mila euro siano appena 34 mila sui 41,5 milioni di contribuenti, cioè appena lo 0,08%.
Salendo alla categoria con reddito oltre i 500 mila si trovano invece soltanto 3.641 contribuenti, cioè lo 0,009% del totale. Infine, i fortunati, ed onesti, che dichiarano oltre 1 milione di euro di reddito sono appena 796, pari allo 0,002% della platea totale dei contribuenti.
E’ evidente che un contesto del genere sarebbe realistico per un piccolo paese sottosviluppato. Di certo non si adatta alle caratteristiche di un paese ricco e sviluppato come il nostro.

sabato 10 settembre 2011

Perchè un blog sull'evasione?

Quando ho comunicato, tra una chiacchiera e l'altra, ai miei amici che avrei realizzato un Blog sull'evasione (fiscale, contributiva e chi più ne ha più ne metta) mi hanno guardato esterefatti e dopo qualche minuto di silenzio mi hanno chiesto : "E perchè??".
E perchè no, dico io.
Sono, direi, alquanto schifato di tutti (tanti, troppi) i commercianti che non fanno scontrini, fatture, che puntualmente evadono e poi si lamentano..e non sanno che se pagano più tasse è proprio perchè anche questo loro atteggiamento (insieme a tanti altri, per carità..) contribuisce all'innalzamento delle tasse.
Qualcuno mi chiama "il giustiziere" ma a  me non piace, semplicemente ho senso civico e pago le tasse, non parcheggio al posto riservato agli invalidi, non fumo perchè è da pazzi, mi diverto come tutti, ho una vita normale, a volte splendida a volte meno, ho una compagna straordinaria che mi sopporta, lavoro 8 ore al giorno dal lunedì al venerdì, rispetto l'ambiente e poi ho tanti, tanti difetti.
Ma qui non stiamo a parlare di me, ma dell'EVASIONE...questo mostro che silenzioso divora tutto quel che ci circonda...esagerato??
Non credo.
Ecco perchè un blog sull'evasione!
Per questo mio primo post ho scelto un'immagine che ho trovato sul blog di Pinobruno.it..la dice lunga...