mercoledì 28 settembre 2011

La Riforma con la “R” maiuscola è la lotta all’evasione


In un recente articolo Luca Ricolfi (La Stampa del 26/09/2011) ha espresso la sua opinione circa “l’inganno” celato dietro l’attuale lotta all’evasione.

La tesi di Ricolfi è che il faro acceso sugli evasori, anche da parte di un Governo di destra “che ha sempre strizzato l’occhio all’evasione”, sia un’arma di distrazione di massa al fine di permettere ai nostri politici di sfuggire dalle loro responsabilità per le mancate riforme attuate in questi anni.
Se effettivamente attuata la lotta all’evasione determinerebbe, secondo Ricolfi, solo effetti recessivi, con aumento della disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, aumenti dei prezzo e conseguente contrazione dei consumi.

Le opinioni espresse da Ricolfi sono però secondo me non correte sotto due punti di vista.

In primo luogo, sostenere che con la lotta all’evasione si voglia distrarre l’opinione pubblica mi sembra un’affermazione non sostenibile. L’evasione è infatti proprio uno dei più grandi e storici problemi dell’Italia, che ha drenato una ammontare incredibile di risorse.
Alberto Alesina e Mauro Marè sostengono, ad esempio, che “se gli italiani avessero evaso, dal 1970 in poi, le imposte tanto quanto gli americani, il debito pubblico in Italia nel 1992 sarebbe stato appena superiore all'80% del Pil, cioè all'incirca il 30% in meno del livello del 1992 (108%). Se gli italiani avessero evaso tanto quanto gli inglesi, il debito pubblico sarebbe stato appena superiore al 60% del Pil, non lontano dal limite previsto dagli accordi di Maastricht” (“Evasione e debito”, in “La finanza pubblica italiana dopo la svolta del 1992”, Il Mulino, 1996). Portare quindi l’evasione in Italia su livelli fisiologici, o non su quelli patologici attuali, sarebbe una grandissima riforma, anzi sarebbe forse la Riforma con la “R” maiuscola (nella Relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all'evasione fiscale del 2007 si legge che "tre italiani su quattro oggi ritengono che l’evasione fiscale sia un
problema grave o gravissimo
").

La lotta all’evasione può infatti essere considerato un virus contagioso che potrebbe diffondere presso gli italiani un concetto di sana e robusta legalità. Per dirla come Cetto La Qualunque, “le tasse sono come la droga, se le paghi uno volta, anche solo per provare, finisce che poi ti viene la voglia” (guarda il video sottostante).

Sul tema più strettamente economico, cioè sui risvolti recessivi della lotta all’evasione, Ricolfi dimentica di considerare che l’evasione costituisce un grande ostacolo alla libera concorrenza. Chi evade si avvantaggia illecitamente verso la sua concorrenza onesta. Va sottolineato, infatti, che se il fenomeno dell’evasione in Italia è molto diffuso, non si può sostenere che tutte le imprese evadono.
Da alcuni studi si riscontra infatti che l’evasione è diffusa soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese, che possono mantenere in modo più agevole una doppia contabilità.
Le grandi imprese, invece, ricorrono molto di più all’elusione, grazie soprattutto all’aiuto di consulenti fiscali sparsi per il mondo.
Le imprese di media di dimensione, quelle che producono buona parte delle nostre esportazioni, hanno invece una dimensione tale per cui l’evasione non è facilmente percorribile, anche perché sono molto più soggette ai controlli dell’Agenzia dell’Entrate, mentre pratiche di elusione non sono generalmente alla loro portata. La concorrenza sleale degli evasori/elusori grava quindi soprattutto su queste imprese, che per tentare di compensarla negli anni hanno molto investito nella ricerca di efficienza e che potrebbero espandere ulteriore la loro attività, con i relativi riflessi occupazionali, se la “distruzione creativa” schumpeteriana, citata di Ricolfi, andasse proprio a colpire quelle imprese che sono sopravissute al mercato solo perché hanno evaso/eluso e/o si sono avvalse di lavoratori in nero.



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