giovedì 27 ottobre 2011

La coesione sociale può sconfiggere l'evasione - Ricerche sull'evasione fiscale (9)

La letteratura economica ha messo in evidenza come tra i fattori determinanti dell'evasione vi sia il contesto sociale di un paese.

Paesi in cui la corruzione dell'amministrazione è dilagante o in cui il consenso e il potere è mantenuto attraverso una minore attenzione verso il rispetto della legalità sono quelli in cui l'evasione fiscale è più diffusa (per maggiori approfondimenti si veda Bernardi e Franzoni).

Una maggior coesione sociale, la presenza di istituzioni particolarmente attente al bene comune sono prerequisiti fondamentali per ridurre su livelli fisiologici il fenomeno dell'infedeltà fiscale, condizioni che purtroppo in Italia sono ben lontane dall'essere raggiunte.

Immagine tratta da http://www.nonsai.it 

mercoledì 26 ottobre 2011

Il concordato fiscale non è la strada giusta. Perché non reintrodurre la minimum tax? Proposte (5)

In una recente intervista a Radio24 nella trasmissione condotta da Oscar Giannino l’on. Maurizio Leo ha offerto alcune delucidazioni su quale sia l’idea di concordato fiscale a cui il Governo sembra stia pensando.

Esclusa infatti la possibilità di effettuare l’ennesimo condono, anche perché per l’Unione Europea non sarebbe accettabile ricorrere nuovamente a misure una tantum quando invece il problema dell’Italia è fare riforme strutturali, la strada che ha proposto l’on. Leo è quella di un accertamento di massa.

Il procedimento proposto è il seguente:
1. l’Agenzia delle Entrate, utilizzando tutti i database a disposizione, nonché le informazioni derivanti dagli studi di settore, individua tutti i casi sospetti di evasione e fa una stima di quale sarebbe dovuto essere il reddito effettivo del contribuente;
2. la stessa Agenzia delle Entrate invia una comunicazione a tutti i contribuenti per cui sono state riscontrate delle incongruenze nelle loro dichiarazioni dei redditi proponendo di sanare la loro posizione pagando le tasse sulla differenza tra il reddito presunto e quello dichiarato. Così facendo il contribuente chiude la sua posizione verso l'Erario, mentre l'Agenzia delle Entrate evita di avviare un lungo e articolato procedimento di accertamento individuale.

Questa proposta ha però dei notevoli limiti.

In primo luogo, al momento l'Agenzia delle Entrate non dispone di una metodologia per poter stimare il reddito effettivo di ogni contribuente. La cancellazione della minimum tax, proprio per volontà del primo Governo Berlusconi, ha tolto questa possibilità. Gli studi di settore, come visto nel post del 18 ottobre 2011, che l'hanno sostituita si basano esclusivamente sulla valutazione dei ricavi congrui, non sul reddito congruo, quindi sulla base di questo solo strumento non sarebbe possibile arrivare ad una stima di quanto il contribuente disonesto avrebbe dovuto effettivamente pagare.

Non chiaro è poi il tema delle sanzioni. Nel precedente concordato attuato da Dini nel 1994 le sanzioni furono limitate ad un quarto del minimo previsto dalla legge. Nella proposta dell'o. Leo, probabilmente non vi dovrebbero proprio essere non essendo state citate. In ogni caso, la riduzione o l'eliminazione delle sanzioni sarebbe un vantaggio per contribuenti disonesti, e ciò costituirebbe un incentivo in futuro a continuare ad evadere nella speranza di non essere scoperti, o in alternativa ad accedere ad un concordato per poter sanare la propria situazione senza grandi penali aggiuntive.

Piuttosto che ricorrere allo strumento del concordato meglio allora sarebbe reintrodurre la minimum tax nella sua formula originaria. Ciò garantirebbe un gettito fiscale molto rilevante perché permetterebbe di andare a stanare molta più evasione rispetto a quanto attualmente si riesce a fare tramite gli studi di settore, o con il redditometro o con lo spesometro.

Immagine tratta da http://download.atuttonet.it 



martedì 25 ottobre 2011

Aneddoti di evasione quotidiana

Nel libro di Roberto Ippolito, Evasori Chi Come Quanto, c’è un capitolo molto interessante sul confronto di alcuni dati tra chi è in linea con gli studi di settore e chi invece non li ha rispettati.

Chi è risultato in linea ha dichiarato ricavi per oltre 360 mila euro e un reddito di circa 45 euro, pari al 12,6% dei ricavi. I non congrui con gli studi di settore dichiarano invece mediamente un fatturato di circa 195 mila euro e un reddito di poco più di 10 mila euro, pari ad appena il 5,4% dei ricavi.

In definitiva, tra chi rispetta gli studi di settore e chi invece no c’è un divario di quasi il 50% in termini di ricavi e di 4 volte e mezzo in termini di reddito. Esemplare è il caso dei titoli di sale di gioco. Chi è in linea con gli studi di settore dichiara un reddito di quasi 60 mila euro, contro la perdita di 2 mila euro dei non congrui.

Da questi dati emerge che nonostante gli studi di settore siano costruiti in modo tale da non dare molto fastidio agli evasori, c’è sempre una categoria di furbi che si sentono ancora più furbi.

Paradossale sono infatti i dati segnalati da Ippolito circa il possesso di beni strumentali. Ci sono infatti 100 mila esercizi commerciali che scontano l’acquisto di beni strumentali ma non ne dichiarano il possesso. Risultano quindi al fisco 3.329 ristoranti senza cucina o tavoli, 480 farmacie senza scaffali, 555 lavanderie senza lavatrici, 5.139 installatori di impianti e idraulici senza attrezzature, 360 laboratori di analisi senza strumenti e 137 tassisti senza taxi.

Altre sorprese vengono dati sul ricambio di magazzino dei pasticcieri. Un pasticciere in linea con gli studi di settore ricambia il magazzino tra i 20 e i 100 giorni, uno invece non congruo tra l’anno e i due anni e mezzo. La speranza in questo caso che i pasticcieri non in linea con i calcoli degli studi di settore siano effettivamente degli evasori perché altrimenti andrebbero denunciati ai NAS per vendita di prodotti alimentari in decomposizione.


lunedì 24 ottobre 2011

Un po’ di aritmetica sull’evasione fiscale: il rendimento atteso

Ipotizziamo di essere un contribuente "egoista" che voglia decidere se evadere o meno.

Il conteggio che questo soggetto dovrebbe fare è il seguente (per maggiori dettagli si veda Bernardi e Franzoni):

- per ogni euro di reddito evaso il contribuente egoista risparmia l’aliquota fiscale media (t) che gli sarebbe stata applicata, sempre però che non cada tra le maglie dei controlli dell’Agenzia delle Entrate. Posto che la probabilità di venire controllato è pari a p, allora il rendimento di ogni euro evaso è pari a t*(1-p);

- il rischio che il contribuente egoista si assume è però quello di cadere nei controlli e di dover pagare, oltre alle somme evase, anche le sanzioni amministrative in percentuale delle somme evase (s). In altri termini, se gli dovesse andar male dovrebbe pagare, per ogni euro evaso, t*p*s

Sommando le due componenti emerge che il rendimento atteso dell’evasione è pari a
R = t*(1-p)-t*p*f = t*[1-p*(1+s)]

Data questa formula affinché non ci sia evasione, e tralasciando il tema del livello di propensione/avversione al rischio dei contribuenti, è necessario che questo rendimento sia nullo o negativo.

Utilizzando un po’ di informazioni che abbiamo a disposizione possiamo stimare qual è il rendimento atteso dell’evasione in Italia. Ponendo l’aliquota fiscale media al 25%, la probabilità di accertamento al 4,4% così come segnalato dalla Relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale presentata dal Governo nel 2009 e relativa al 2008, e ipotizzando il livello massimo di sanzioni previste dal nostro ordinamento, pari al 240% della somma evasa (art. 1. comma 1 del d.lgs. 471/1997), arriviamo ad una stima del rendimento dell’evasione in Italia pari a oltre il 21%. Da ciò emerge come il contribuente egoista abbia un ottimo incentivo a evadere.

Facendo un esercizio inverso possiamo invece calcolarci su quali valori dovrebbero attestarsi i parametri considerati affinché il rendimento dell’evasione sia nullo.
Lasciando inalterata la probabilità di accertamento al 4,4%, le sanzioni amministrative dovrebbero essere pari al 2200%, cioè in altri termini 22 volte la somma evase.
Viceversa, con sanzioni del 240% la probabilità di accertamento dovrebbe crescere al 30%, cioè quasi un contribuente su tre dovrebbe essere controllato.

Già da queste semplice evidenze emerge come focalizzare l’attenzione solo sui controlli e/o le sanzioni non permetterà mai di eliminare completamente l’incentivo a evadere.

venerdì 21 ottobre 2011

Il concordato fiscale fa rima con il condono

Da quanto si apprende da alcune indiscrezioni giornalistiche il Governo sembra aver abbandonato l'idea di varare l'ennesimo condono per proporre invece un concordato fiscale.

Ancora non si hanno i dettagli ma di fatto questo provvedimento, per poter garantire il gettito atteso dal Governo di ben 5 miliardi di euro, dovrà prevedere delle deroghe all'attuale regime fiscale. I furbi si vedranno quindi premiati e ciò costituirà un successivo incentivo all'infedeltà fiscale nella convinzione che in futuro il legislatore sarà sempre propenso ad offrire una scappatoia a chi non abbia intenzione di rispettare le regole.

In sintesi, quindi, gli effetti del concordato sono del tutto assimilabili a quelli del condono. Aggiorniamo quindi la lista dei politici favorevoli al condono/concordato fiscale aggiungendo Berlusconi, Crosetto e Leo.



giovedì 20 ottobre 2011

A cosa serve il condono fiscale?

In un recente articolo su www.lavoce.info Maria Cecilia Guerra, intitolato "Perchè mai un condono?", ha  smontato la principale argomentazione in base alla quale alcuni politici italiani tendono a giustificare il varo dell'ennesimo condono fiscale.

Per questi "illuminati" politici (guarda la lista dei parlamentari che si sono dichiarati favorevoli al condono), infatti, l'attuale contesto di crisi richiede l'esigenza di ricercare fonti straordinarie di entrata, quali appunto il condono.

Maria Cecilia Guerra fa invece notare due punti che contrastano con questa tesi:
  1. il condono non è privo di costi. In particolare, l'implementazione e la gestione dei condoni richiede il sostenimento di costi operativi rilevanti, anche in termini di tempo. Questo implica che le scarse risorse dell'Amministrazione fiscale dovranno essere distolte dal contrasto all'evasione per essere invece impiegate nelle fasi volte a dare un colpo di spugna agli illeciti che fino ad un giorno prima stavano contrastando. Il varo di un condono fiscale determinerà, poi, una riduzione del gettito atteso dalla lotta all'evasione, che la Corte dei Conti ha quantificato, per il quinquennio 2009-2013, essere pari a ben 37 miliardi di euro. Infine, il solo fatto di parlare della possibilità del varo di un condono determina una minore tax compliance, come anche visto nel post del 5 ottobre 2011 sugli effetti individuati nella letteratura economica dall'emanazione di condoni.
  2. il gettito attesa da quest'ennesimo condono sarà necessariamente inferiore al passato, ciò in conseguenza del fatto che lo scudo fiscale, varato nel 2009-10, ha già dato un'ampia copertura, oltretutto anonima, a una buona fetta di evasori. Inoltre, una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea ha bocciato il condono sull'Iva, e quindi su questo rilevante fronte gli amanti dei "colpi di spugna" non potranno agire.
La conclusione che si può trarre dalle argomentazioni di Maria Cecilia Guerra è che la spinta sottostante al condono è solo quella della disperata ricerca di consenso politico nel momento in cui le elezioni si stanno sempre più avvicinando.

Immagine tratta da www.lavoce.info  


mercoledì 19 ottobre 2011

Un gioco a premi per stimolare l’uso della moneta elettronica - Proposte (4)

Come abbiamo visto nel post del 12 settembre 2011, la tracciabilità dei pagamenti è probabilmente il maggiore terrore degli evasori. Un pagamento effettuato con bonifico, assegno, o con carte di credito/debito lascia delle tracce attraverso cui è possibile risalire a qualsiasi transazione economica, facilitando notevolmente il lavoro dell’Amministrazione fiscale che ha fronte di ogni transazione può verificare direttamente se è stato emesso il relativo documento fiscale.

In particolare, le carte di credito o di debito (il cosiddetto Bancomat) sono un’arma in mano ad ogni singolo consumatore da puntare contro i commercianti e i liberi professionisti non in regola con il fisco. Al riguardo, vi sono delle evidenze empiriche che confermano come un maggior utilizzo di carte potrebbe abbattere notevolmente l’economia sommersa (si veda il post del 19 settembre 2011 in cui sono riportate i risultati di uno studio di Di Giulio e Milani). E’ quindi importante trovare tutti i modi possibili per incrementare il possesso e l’uso di carte di pagamento presso le famiglie italiane, posto anche che il divario con gli altri paesi sviluppati è molto grande.

Una possibile modalità attraverso cui raggiungere questo obiettivo è creare un sistema incentivante, basato ad esempio su un concorso a premi, modalità che in Italia ottiene sempre molto successo.
La proposta che vogliamo presentare in questo post è quella di estrarre a sorte un certo numero di transazioni di pagamento effettuate con le carte di credito o di debito a cui assegnare dei premi, che potrebbero essere costituiti da crediti d’imposta da utilizzare in sede di dichiarazione dei redditi per ridurre il proprio carico fiscale. In altri termini, quello che proponiamo è di lanciare il "Gioco del Lotto... al Contante".

Immagine rielaborata da www.lottomaticaitalia.it 

Posto che ogni transazione viene registrata elettronicamente in appositi database gestiti dai fornitori di carte di pagamento, l’estrazione non sarebbe effettuata fisicamente, come avviene nel Gioco del Lotto che prevede il sorteggio dei bussolotti all'interno di urne, bensì andrebbe realizzata con un software che con un procedimento di selezione casuale andrebbe ad estrarre un certo numero di transazioni registrate.

Queste estrazioni “elettroniche” potrebbero essere effettuate con cadenza giornaliera per importi di pagamento fino ad una determinata soglia (ad esempio 100 euro), e con frequenze più ampie (settimanali, mensili e annuali) per pagamenti di importo superiore.

L’ammontare del credito d’imposta vinto potrà invece essere modulato in funzione dell’importo pagato, prevedendo eventualmente anche degli scaglioni (ad esempio per spese fino a 500 euro la vincita potrebbe essere pari al 20% della spesa, per importi superiori al 10%).

Dalla transazione estratta il gestore delle carte di pagamento potrà risalire al titolare della carta, a cui comunicherà la vincita tramite email o per posta ordinaria, a seconda della modalità prevista per l’inoltro dell’estratto conto della carta.

In definitiva, per fare un esempio della procedura proposta, ipotizziamo che il signor Rossi per pagare un gioiello del valore di 200 euro avesse utilizzato la sua carta di credito e che tale transazione elettronica fosse stata estratta tra quelle vincenti, allora il signor Rossi riceverebbe, insieme al suo estratto conto, la comunicazione di aver diritto ad un credito d'imposta pari a 40 euro (20% di 200 euro).

Va detto che per il gestore tutta questa procedura implicherà dei costi operativi, soprattutto per l’interrogazione dei database e per l’inoltro delle comunicazioni, costi comunque che sono sufficientemente contenuti e che potranno essere più che compensati dal maggior stimolo all’utilizzo delle carte di credito.

Dal lato dell’Erario, invece, il minor gettito derivante dai crediti d’imposta “regalati” potrebbe essere più che compensato dal recupero di evasione che il mancato utilizzo del contante avrà permesso.


martedì 18 ottobre 2011

Gli studi di settore - Gli strumenti di lotta all’evasione utilizzati in Italia (2)

Di studi di settore si è cominciato a discutere in Italia nel 1993, anno in cui ancora era in vigore la famigerata minimum tax. Le polemiche sorte proprio con la minimum tax spinsero il legislatore a trovare uno strumento che trovasse più consenso tra commercianti, artigiani e liberi professionisti, nonché tra i commercialisti.

Gli studi di settore si basano su metodologie statistiche - anche molto complesse e per questo affidate ad un’apposita società (www.sose.it) - grazie alle quali poter stimare un livello plausibile di ricavi per ogni categoria di lavoratori autonomi. Se i ricavi dichiarati sono inferiori a questo livello plausibile l’amministrazione fiscale può avviare un accertamento.

Già da questi elementi si possono capire le molte differenze esistenti tra la minimum tax e gli studi di settore.

In primo luogo, questi ultimi non permettono all’amministrazione fiscale di avere un reddito di riferimento del contribuente in quanto si basano solo sui ricavi. I costi sono infatti tenuti fuori da questa procedura di calcolo. Questo è un grande limite degli studi di settore in quanto un contribuente può aver dichiarato dei ricavi congrui, ma poi averli dedotti con una serie di costi non pertinenti all’attività.

Inoltre, l’onere della prova sulla eventuale presenza di illeciti fiscali spetta all’ente accertatore.

In definitiva, il principio ispiratore degli studi di settore non è quello di eliminare tutta l’evasione, bensì quella di cercare di limitare l’evasione di chi dichiara ricavi molto inferiori a quelli degli altri contribuenti dello stesso settore. Questo strumento nasce quindi come un compromesso tra Stato e associazioni di categoria imprenditoriali, soprattutto di piccola dimensione, e come tale la sua capacità di arginare l’evasione è limitata.

Il peso delle lobby in questo ambito si osservò chiaramente nel 2007 quando furono decise dal Governo Prodi delle variazioni negli studi di settore non in accordo con le associazioni di categoria (a titolo di esempio si veda la reazione espressa in questo blog e l'immagine sottostante), variazioni che furono poi annacquate dal successivo Governo Berlusconi.

Immagine tratta da www.confesercentiumbria.it

lunedì 17 ottobre 2011

L'inefficienza sociale dell’evasione: ecco perché l'evasione fiscale non va giustificata

Nel primo capitolo del libro “L’evasione fiscale. Quanto, come e perché” di Alessandro Santoro viene presentata un’analisi molto interessante sulle distorsioni prodotte dall’evasione. Per fare ciò l’autore si pone da un punto di vista diametralmente opposto rispetto a quanto vuole dimostrare. Infatti, vengono considerate nel dettaglio quali sono le condizioni necessarie affinché vi sia un efficiente funzionamento del mercato, in cui le imposte costituiscono solo un fattore distorsivo.

In particolare, le condizioni di efficienza (cosiddetta paretiana, cioè quella situazione di equilibrio che si raggiunge quando l’utilità di tutti gli operatori o è migliorata rispetto al passato, o in ogni caso non è peggiorata) del mercato sono 3.

La prima è che i beni venduti siano rivali, nel senso che non possano essere consumati da un individuo in più senza che l’utilità di chi già li consuma non diminuisca (ad esempio un vestito può essere utilizzato da un soggetto alla volta), e escludibili, cioè il soggetto che non paga il prezzo del bene deve poter essere escluso facilmente dal suo utilizzo.

La seconda condizione è che il prezzo di mercato tenga conto degli effetti (positivi o negativi) prodotti su terze persone dal consumo o dalla produzione di beni o servizi (cosiddette esternalità). Ad esempio, un’impresa che per produrre i suoi beni inquina dovrebbe sostenere i costi sociali, ambientali e sanitari generati dall’inquinamento, che verrebbero quindi traslati sul prezzo di vendita al mercato di tali beni.

La terza e ultima condizione è la disponibilità delle informazioni necessarie affinché sia valutato correttamente il prezzo di un bene o servizio da tutte le parti coinvolte nella transazione.

Date queste 3 condizioni si può constatare facilmente come in talune situazioni l’intervento dello Stato per sopperire all’inefficienze del mercato sia indispensabile. Ad esempio, la spesa per la sicurezza, sia essa di natura militare o legata alla vita civile (polizia, vigili del fuoco, ecc.), non ha le caratteristiche della rivalità e della escludibilità. Può invece definirsi un bene pubblico puro che per sua natura deve essere prodotto dallo Stato.

L’istruzione, invece, produce delle forti esternalità positive, in quanto cittadini più istruiti migliora il tessuto sociale e produttivo del paese, che ne giustifica l’offerta pubblica al fine di renderla accessibile a tutte le categorie sociali.

Nella sanità, infine, il soggetto assistito tenderà ad influenzare attraverso i suoi comportamenti il verificarsi di malattie (uso di droghe, obesità alimentare, ecc.) che però il soggetto preposto alla prestazione delle terapie ignora e che per tale motivo potrebbe essere indotto ad applicare prezzi per i proprio servizi così elevati da escludere i soggetti a maggior rischio (si veda quanto succede negli Usa in tema di prestazioni sanitarie private).

Fatta questa analisi dell’esigenza, per taluni beni e servizi fondamentali, di dover essere erogati dallo Stato, la diretta conseguenza dell’evasione è che il minor gettito fiscale riduce, o in taluni casi impedisce, la prestazione di adeguati servizi pubblici, determinando quindi un’ “inefficienza sociale”, cioè il peggioramento della condizione di alcune classi sociali del paese.

venerdì 14 ottobre 2011

Le proposte di Vision Think Tank su fisco ed evasione

Vision, una Think Tank italiana, ha presentato di recente un documento in cui sono presentate 6 proposte in materia di fisco e di lotta all’evasione.

Le proposte avanzate sono le seguenti:
1. spostare il carico fiscale dalla tassazione sui redditi da lavoro e da impresa a quello sui patrimoni e sui beni di consumo, preservando quelli di prima necessità e colpendo soprattutto quelli più inquinamenti;
2. estendere la possibilità delle detrazioni fiscali;
3. legare in modo più stretto l’erogazione del servizio con il pagamento delle tasse; 
4. semplificazione dei meccanismi di determinazione delle tasse;
5. migliorare i meccanismi di accertamento e di somministrazione delle sanzioni;
6. destinare le risorse raccolta dalla lotta all’evasione alla riduzione del carico fiscale. 

Commentiamo ora queste interessanti e ben articolate proposte.

Iniziamo prima con un rapido commento sulle proposte su cui c’è piena condivisione.
In particolare, sulla prima proposta anche l’Ocse, nelle sue raccomandazioni all’Italia sulle riforme da attuare, ha ben evidenziato come lo spostamento della tassazione dai redditi alle “cose” sia un prerequisito fondamentale per agevolare la crescita economica.

Anche sulla quarta proposta, quella sulla semplificazione del sistema fiscale non si può non essere d’accordo. Aggiungerei rispetto alle argomentazione di Vision che un sistema più semplice faciliterebbe anche chi è deputato ad effettuare gli accertamenti, e quindi sarebbe anch’esso uno strumento di deterrenza verso gli evasori.

Sul punto 5, quello relativo al miglioramento dei meccanismi di accertamento e di erogazione delle sanzioni sono invece solo parzialmente d’accordo. Sicuramente spazi di miglioramento del sistema attuale esisto. Vanno senz’altro introdotti dei meccanismi che evitino le cosiddette “cartelle pazze” (ci occuperemo di questo punto più in dettaglio in un prossimo post), cioè accertamenti errati o per situazioni inesistenti o per eventi conclusi (il caso della richiesta del pagamento di tasse già pagate). Il sistema sanzionatorio non andrebbero però alleggerito. Come visto nel post del 4 ottobre 2011 sulla valenza delle sanzioni nel contrasto all’infedeltà fiscale, in Italia le sanzioni sono si elevate però poi si pone un grande problema di certezza della pena in quanto spesso queste sanzioni non poi effettivamente erogate, anche perché i contribuenti sanzionati hanno una grande fiducia che l’emanazione di un condono possa venire in loro aiuto.

Sul secondo punto, quello relativo alle detrazioni fiscali, non mi trovo invece d’accordo. Come descritto nel post del 28 settembre 2011, le detrazioni fiscali per eliminare completamente qualsiasi possibilità di connubio tra venditore e acquirente volto ad evitare l’emissione di fatture/ricevute/scontrini dovrebbero essere fissate su livelli così elevati da erodere di fatto tutto il gettito fiscale.

Anche sul terzo punto, cioè sul maggior legame tra la prestazione del servizio e il pagamento delle tasse, non mi trovo d’accordo. Nel documento di Vision si fa l’esempio il costo del servizio della metropolitana che dovrebbe essere spostato dalla fiscalità generale sul prezzo del biglietto. Giustamente però si aggiunge che dovrebbero essere esentanti quelli che hanno minori possibilità. In un paese in cui molti commercianti dichiarano redditi inferiori alla soglia di povertà è chiaro però che in questo modo si farebbe un ulteriore favore agli evasori e si penalizzerebbero lavoratori dipendenti e pensionati che, non potendo evadere, risulterebbero gli unici ad avere redditi tali da poter sostenere direttamente il costo dei vari servizi pubblici.

Infine, anche sul sesto punto ho qualche perplessità. In primo luogo, sul legame tra riduzione del carico fiscale ed evasione, come visto nel post del 29 settembre 2011, non c’è piena convergenza nei diversi studi empirici presenti in letteratura. Non è quindi scontato che ridurre le aliquote potrebbe migliorare ulteriormente il contrasto all’evasione. Inoltre, stante l’attuale contesto economico-finanziario le risorse recuperate dalla lotta all’evasione dovrebbero essere preferibilmente destinate alla riduzione del debito pubblico. Solo quando si sarà raggiunto un livello di debito/Pil più sostenibile allora si potrà allora avviare il taglio delle tasse.

Immagine tratta da www.visionwebsite.eu

giovedì 13 ottobre 2011

Chi sono i parlamentari favorevoli al condono?

Alcuni politici italiani sono tornati a parlare incredibilmente di condono. La maggioranza dopo aver deciso di avviare la lotta all’evasione adesso parla di “colpo di spugna fiscale”. Delle due, l’una: o questa lotta è solo fittizia e propagandistica verso la maggioranza degli italiani che le tasse le pagano, oppure questi politici non conoscono gli effetti controproducenti prodotti dai condoni. In quest’ultimo caso li inviterei a leggere questo breve post che in poche righe cerca di spiegare, nel modo più semplice possibile, perché non debbono essere fatti i condoni sotto un profilo economico.

Un’altra ipotesi che può spiegare il motivo per cui si sia tornati a parlare di condono è perché si avvicinano le elezioni e parlare di questo tema in passato ha premiato molto da un punto di vista elettorale. Questi politici però stanno probabilmente facendo male i loro conti perché l’attuale crisi economico-finanziaria ha reso gli italiani molto più attenti alle questioni di equità fiscale.

Per lasciare traccia di chi sono questi nostri politici che sono favorevoli al condono ecco qui alcuni di quelli che si sono pubblicamente esposti sulla stampa e in televisione. Per maggiori approfondimenti sul politico cliccate sul link sottostante la foto, verrete reindirizzati sul sito parlamento.openpolis.it.





Segnalate se ci sono altri onorevoli che si sono dichiarati pubblicamente favorevoli al condono in modo da completare questa lista.

Per concludere, guardate questa bellissima parodia del brano «Perdono» di Tiziano Ferro, realizzata da Francesca Fornario e Simone Salis e andata in onda su Un Giorno da Pecora:



mercoledì 12 ottobre 2011

Pubblicare online il contributo offerto allo Stato dalle tasse pagate - Proposte (3)

Nel post del 10 ottobre 2011 abbiamo visto che l’efficacia della pubblicazione online dei redditi dichiarati può avere un’efficacia limitata, se non addirittura produrre effetti controproducenti.

Abbiamo anche visto che la comunicazione sull’evasione dovrebbe invece enfatizzare gli effetti positivi derivanti da una maggiore fedeltà fiscale.

Fatte queste premesse la nostra proposta è quella che vengano pubblicizzati – via online ma anche presso i punti di vendita o di erogazione dei servizi, qualora il contribuente ne abbia – quanti servizi pubblici sono stati erogati grazie alle tasse pagate da ogni singolo contribuente.

Facciamo alcuni esempi per comprendere meglio questa proposta. Prendiamo il caso del signor Mario Verdi, dipendente pubblico che abbia pagato tasse per un totale di 10 mila euro, e quello del signor Antonio Rossi, commerciante nel settore delle calzature che abbia pagato 1.600 euro di tasse (reddito dichiarato medio di circa 11 mila euro, come si evince dalle statistiche dell’Agenzie delle Entrate), entrambi residenti nel Comune di Milano.

Grazie alle tasse pagate dal signor Rossi è stato possibile pagare il ricovero di 2 pazienti negli ospedali pubblici (costo medio di 3.700 euro), oppure sostenere il costo annuo di 4 studenti presso le scuole pubbliche secondarie (costo medio di 2.100 euro), oppure pagare 153 giorni di lavoro ad un poliziotto/carabiniere (retribuzione media lorda giornaliera di 65 euro).

Le tasse pagate dal signor Rossi, invece, non hanno permesso né di ricoverare alcun paziente né di permettere lo studio a nessun studente della scuola secondaria, mentre hanno consentito di pagare solo 24 giorni di lavoro ad un poliziotto/carabiniere.

In definitiva, sul sito dell’Agenzia delle Entrate andrebbe pubblicata la seguente tabella:


Inoltre, al signor Rossi andrebbe imposto di pubblicizzare l’informazione circa il contributo che la sua attività è riuscita a dare allo società anche presso il suo punto vendita in modo che ogni suo cliente possa esserne consapevole e poter quindi premiare, con i suoi comportamenti di spesa, chi sostiene di più lo Stato sociale.

Attraverso questo link potete valutare anche voi quale è stato il contributo che avete dato allo Stato sociale (trovate il dato sulle tasse pagate nel vostro ultimo CUD).

Va detto, che i servizi pubblici considerati in questo post sono solo esemplificativi, ovviamente se ne potrebbero considerare anche degli altri oppure di differenti, l’importante è che esprimano al meglio il contributo che le tasse pagate da ogni singolo contribuente sono state in grado di offrire.

martedì 11 ottobre 2011

Evasori. Chi Come Quanto, di Roberto Ippolito - Recensione libri (2)

Il libro che recensiamo in questo post è “Evasori. Chi Come Quanto. L’inchiesta sull’evasione fiscale” di Roberto Ippolito edito da Bompiani nel 2008 (200 pagine, prezzo di copertina di 17 euro).

In questo volume il tema dell’evasione fiscale non è affrontato in maniera tecnica, anche se vengono offerti una serie di dati molto interessanti. L’autore si concentra, in particolare, nella descrizione di una serie molta ampia di aneddoti su casi più o meno sofisticati di evasione che hanno riguardato sia persone comuni che personaggi famosi (Pavarotti, Valentino Rossi, Lele Mora, ed altri).

La narrazione dei fatti descritti da Ippolito genera un misto tra l’ilarità e lo stupore nel constatare di quali “invenzioni fiscali” sono capaci gli italiani, ma anche una rabbia profonda nel momento in cui Ippolito cita giustamente le cifre evase da questi furbetti.

Il premio per l’ “evasore d’oro”, che si meriterebbe anche un tapiro d’oro visto che poi è stato individuato dall’Agenzia delle Entrate, va secondo me ad un edicolante di Padova. La genialata di questo singolare commerciante è stata quella di vendere i giornali ad un prezzo di copertina di 2 mila euro.
Vi chiederete chi sarà stato disposto a sborsare una simile cifra per un giornale? A quanto risulta dall’Agenzia delle Entrate molti clienti, forse attratti dal gadget non proprio usuale: un materasso. Il commerciante pensava infatti di aver trovato la scappatoia per non applicare l’Iva al 20% sulla vendita dei materassi potendo beneficiare, nella sua ottica, dell’Iva ridotta al 4% per l’editoria. Peccato che questo trucco ha generato un credito d’imposta così consistente da insospettire l’amministrazione fiscale.


lunedì 10 ottobre 2011

L’effetto della pubblicazione online dei redditi dichiarati - Ricerche sull’evasione (8)

Il tema della pubblicazione online dei redditi fiscali dichiarati da ogni contribuente è abbastanza controverso. Il primo a scegliere questa strada fu Visco nel 2008. Le reazioni politiche a questa scelta furono molto veementi tanto da spingere l’Agenzia delle Entrate a sospendere quasi immediatamente la diffusione dei redditi. Anche il Garante della Privacy sollevo dei problemi sulla diffusione di questi dati in modo libero e senza filtri.

Nella recente manovra anticrisi il tema era ritornato al centro del dibattito prevedendo, in una prima bozza, che i Comuni potessero decidere se pubblicare i redditi dichiarati. Alla fine il Governo ha deciso di prendere una strada del tutto inefficace, cioè quella di dare la possibilità ai Comuni di pubblicare i redditi dichiarati per tipologia di contribuenti (ad esempio dentisti, avvocati, proprietari di ristoranti, ecc.).

L’efficacia della pubblicazione dei redditi dichiarati per il contrasto dell’evasione è in ogni caso dubbia. Come evidenziato da Carlo Marchese nel suo articolo su www.lavoce.info del 2 settembre 2011, “La vergogna di essere un evasore”, la sanzione sociale per gli evasori è abbastanza limitata per il fatto che evadere è un fenomeno molto diffuso. Indicazione nella stessa direzione sono state fornite dallo studio di Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio sulle opinioni degli italiani circa l’evasione fiscale (post del 14 settembre 2011).

Per Carlo Marchese la pubblicazione dei redditi può avere addirittura effetti controproducenti. Infatti, “l’informazione sull’altrui evasione non punita può tranquillizzare l’aspirante evasore, che insomma, potrebbe d’ora in poi mangiare la foglia anche meglio di quanto già oggi non avvenga grazie alla conoscenza dei dati medi”. Ad esempio, il ristoratore notando che il reddito dichiarato dal ristorante sito a poche centinaia di metri è ben più basso potrebbe scegliere di evadere in misura maggiore per non pagare più tasse del suo concorrente. Il rischio è quindi che avvenga il cosiddetto effetto gregge.

Anche un recente studio dell’Ocse ha messo in evidenza che la comunicazione contro l’evasione per essere efficace non deve tanto enfatizzare che chi evade sarà scoperto e sanzionato, in quanto può produrre l’impressione che l’infedeltà fiscale è la norma e non l’eccezione.
Andrebbe invece sottolineato che la maggior parte dei contribuenti sono onesti e grazie alla loro fedeltà fiscale è possibile tenere in piedi lo Stato, soprattutto sul piano sociale.

venerdì 7 ottobre 2011

La minimum tax - Gli strumenti di lotta all’evasione utilizzati in Italia (1)

La minimum tax fu introdotta nel 1992 dal Governo Amato. Tale normativa introduceva un principio abbastanza semplice, e largamente condivisibile: un soggetto che decida di intraprendere un’attività lavorativa autonoma (imprenditore o libero professionista) si assumerà il relativo rischio che questa attività possa fallire se e solo se il reddito prodotto non sarà inferiore a quello che avrebbe potuto ottenere lavorando come dipendente nello stesso settore.

In altri termini, se un gioielliere che lavora come dipendente ha un reddito medio di 30 mila euro l’anno, l’imprenditore che svolge autonomamente l’attività di gioielliere non può avere un reddito inferiore a questa cifra.

Nel caso in cui il lavoratore autonomo avesse dichiarato un importo inferiore al livello minimo la legge prevedeva poi un sistema molto efficace di intervento che costituiva un ottimo deterrente. Infatti, l’amministrazione fiscale aveva il potere di aprire immediatamente una cartella esattoriale pari alla differenza tra il reddito minimo e quello dichiarato, maggiorata delle sanzioni amministrative e degli interessi.
Il contribuente sanzionato poteva comunque dimostrare che il suo reddito era stato effettivamente inferiore, su di lui però verteva l’onere della prova.

Inoltre, la legge stessa prevedeva la possibilità di richiedere l’esonero dalla minimum tax in casistiche determinate (per maggiori dettagli clicca qui).

Questa normativa è stata probabilmente una delle più efficaci per il contrasto dell’evasione tra tutte quelle emanate in Italia negli ultimi 30 anni, tesi sostenuta anche da Alessandro Santoro nel suo libro. Il gettito ottenuto fu infatti anche superiore a quello atteso. Da un'indagine a campione sui modelli 740 che riguardò 124 mila lavoratori autonomi risultò che solo 6 mila (5%) avevano dichiarato un reddito inferiore a quello minimo, 37 mila (30%) si era adeguata al reddito minimo e 81 mila (65%) aveva dichiarato più della soglia minima. Rispetto all’anno precedente risultò che chi si era adeguato alla soglia minima aveva dichiarato in media 10 milioni di lire (circa 5 mila euro) in più dell’anno precedente.

Sarà proprio per la sua efficacia che il popolo dei lavoratori autonomi scese in piazza numeroso nel 1993 – anno tra l’altro in cui l’Italia era in recessione economica – per protestare contro la minimum tax.
Nel 1994 poi Berlusconi vinse le sue prime elezioni, promettendo tra l’altro il taglio delle tasse, e una delle prime iniziative che prese nel breve periodo di governo fu proprio l’abolizione della minimum tax (va detto, comunque, che anche una parte dello schieramento di centro-sinistra si rivelò recalcitrante verso questa legge).

Perché, allora, non rimettere nell’agenda politica anche la possibilità di reintrodurre una minimum tax, che tra l’altro esiste anche negli Usa (alternative minimum tax)?

una delle immagine del corteo di protesta del 1993 tratta da www.unita.it

giovedì 6 ottobre 2011

Modificare la Costituzione per fermare i condoni - Proposte (2)

Nel post del 5 ottobre 2011 abbiamo visto come gli effetti dei condoni fiscali possono essere dirompenti nel favorire l’evasione fiscale. Sarebbe buona norma che queste procedure vengano attuate solo in casi remoti, o ancora preferibilmente mai.

Il legislatore italiano è però consapevole che senza vincoli non è in grado di assumere le scelte corrette. Ne è un’evidenza il fatto che l’attuale Governo, appoggiato anche dall’opposizione, voglia introdurre in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio. Ma allora perché non introdurre anche il vincolo che i condoni non possono essere decisi se non c’è una maggioranza molto ampia in parlamento?

La proposta che vogliamo qui presentare è quella di assimilare i condoni, siano essi fiscali o edilizi, all’amnistia e all’indulto. Come questi due provvedimenti prevedono delle deroghe alle regole penali, e per tale ragione devono essere deliberati con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascun ramo del Parlamento, così anche per i condoni, che prevedono delle deroghe alle regole fiscali o edilizie, dovrebbe vigere la stessa procedura.

Operativamente basterebbe modificare l’art. 79 della Costituzione italiana, che riguarda appunto l’amnistia e l’indulto, nel seguente modo:

“L’amnistia, l’indulto, il condono fiscale ed edilizio sono accordati con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.
La legge che accorda l’amnistia o l’indulto o il condono fiscale/edilizio stabilisce il termine per la loro applicazione.
In ogni caso l’amnistia, l’indulto e il condono fiscale/edilizio non possono applicarsi ai reati e agli illeciti amministrativi commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge”.

Che cosa ne pensate? Lasciate un commento su questa proposta

mercoledì 5 ottobre 2011

L’effetto dei condoni fiscali sull’evasione - Ricerche sull’evasione fiscale (7)

Come visto nel post del 4 ottobre 2011 il ricorso a condoni fiscali incide sulla certezza della pena per chi ha evaso e fa quindi diminuire l’effetto deterrente delle sanzioni.

Gli studi empirici su questo tema hanno evidenziato come nell’anno in cui il condono viene varato e in quelli successivi i tassi di fedeltà fiscale tendano a ridursi (si veda Bernardi e Franzoni).

La storia dei condoni fiscali in Italia è molto lunga (informazione tratta da Wikipedia):

• 1973 - Governo Rumor IV - Ministro delle finanze Emilio Colombo (condono fiscale)
• 1982 - Governo Spadolini I - Ministro delle finanze Rino Formica (condono fiscale)
• 1991 - Governo Andreotti VI - Ministro delle finanze Rino Formica (condono fiscale)
• 1995 - Governo Dini - Ministro delle finanze Augusto Fantozzi (concordato fiscale)
• 2003 - Governo Berlusconi II - Ministro delle finanze Giulio Tremonti (condono fiscale)
• 2009 - Governo Berlusconi IV - Ministro delle finanze Giulio Tremonti (scudo fiscale in vigore dal 2/10/2009).

L’aspetto rilevante è che nel tempo il gettito prodotto dai condoni è andato diminuendo. Rileva se infatti il condono tombale del 1982 portò alle casse statali circa 11 mila miliardi di lire, quello di circa 10 anni dopo ebbe un gettito pari a circa la metà, ad evidenziare la ritrosia dei contribuenti anche a sanare le loro situazioni irregolari.

Paradossale è poi il caso del condono del 2003, in cui molti contribuente hanno evaso addirittura le rate del condono stesso per un ammontare complessivo di circa 4/5 miliardi di euro. Questi furbi tra i furbi hanno infatti pagato solo la prima rata del condono, guadagnandosi quindi il “lascia passare” verso possibili accertamento fiscali, per poi evadere le rate successive. L’intervento normativo recentemente previsto nella manovra anti-crisi dovrebbe, e sottolineiamo dovrebbe, recuperare queste somme, sempre che dopo ben 8 anni il patrimonio di questi furbetti non sia del tutto “evaporato”.

Incredibile è poi il fatto che nel momento in cui il Governo dichiari di voler combattere l'evasione fiscale stia tornando al centro del dibattito politico la possibilità di varare l'ennesimo condono, probabilmente tombale (si vedano, ad esempio, Ballarò e Porta a Porta del 4 ottobre 2011 in cui i rappresentanti della maggioranza di Governo non hanno escluso in modo categorico questa possibilità).

Per concludere su questo tema, non possiamo non citare questo mitico video di Corrado Guzzanti.

martedì 4 ottobre 2011

L’effetto delle sanzioni amministrative sull’evasione - Ricerche sull’evasione fiscale (6)

Analizziamo in questo post un altro dei fattori che sembrano spiegano l’evasione sulla base del modello teorico tradizionale: le sanzioni amministrative.

Gli studi empirici su questo aspetto sembrano indicare che le sanzioni hanno un effetto abbastanza limitato come deterrente contro l’evasione (si veda Andreoni, Erard e Feinstein).

Il sistema fiscale italiano, come rilevato da Alessandro Santoro nel suo libro, "L’evasione fiscale. Quanto, come e perché", sembra tra l’altro essere molto severo verso i medio/grandi evasori. L’art. 5 d.lgs. 74/2000 prevede che se l’imposta evasa è superiore ai 75 mila euro il contribuente infedele rischia la reclusione da 1 a 3 anni. La recente manovra anti-crisi sembra essere andata ancora più nella stessa direzione (si veda al riguardo il post del 16 settembre 2011). Gli Stati Uniti, rileva sempre Santoro, che sono presi ad esempio per la loro severità, hanno per le stesse fattispecie sanzioni più blande.

In Italia si pone invece più un problema di certezza della pena, da un lato, e l’inefficacia di queste norme verso i piccoli evasori, che sono quelli che più contribuiscono allo stock complessivo di evasione data la forte frammentazione del nostro sistema produttivo. Ad incidere sul primo problema, cioè la certezza della pena, influisce poi il ricorso ai condoni.

 Immagine tratta da cinquew.it

lunedì 3 ottobre 2011

La denuncia telematica al 117 - Proposte (1)

Come abbiamo descritto nel post del 26 settembre 2011 per essere efficaci le denunce di evasione fiscale non devono essere anonime ma vanno effettuate al 117.
L’esperienza dei evasori.info e tassa.li, che permettono di effettuare segnalazioni anonime on-line e velocemente, anche attraverso smartphone, ci insegna altresì che sta crescendo sempre più la ritrosia, da parte degli onesti contribuenti, di osservare impotenti fenomeni di evasione.

Fatta questa premessa, una possibile innovazione potrebbe essere introdotta al servizio di pubblica utilità 117 al fine di aumentarne il ricorso da parte dei cittadini sfruttando l’esperienza di evasori.info e tassa.li. Questa innovazione potrebbe consistere nella possibilità di poter effettuare delle denunce telematiche attraverso il sito della Guardia di Fìnanza, www.gdf.it, che dovrebbe essere implementato anche con una versione mobile per facilitarne l’utilizzo tramite smartphone.

La procedura che si dovrebbe seguire è la seguente:

1) l’utente va sul sito www.gdf.it e si registra indicando le sue generalità, una username, una password e un numero di cellulare;

2) per evitare il rischio che vengano inserite delle denunce sotto falso nome l’utente dovrà presentarsi al più vicino Reparto del Corpo della Guardia di Finanza, o presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) del proprio Comune di residenza, per confermare, munito di documento di riconoscimento, la propria identità;

3) l’utente è abilitato ad effettuare segnalazioni direttamente in via telematica senza la necessità di ulteriori pratiche burocratiche da svolgere;

4) una volta inserita una segnalazione l’utente riceverà un avviso per sms. In tal modo si potranno limitare casi di “furti di utenza”, in analogia con quanto generalmente avviene nel caso di utilizzo di carte di credito/debito. L’utente che dovesse ricevere un sms per una segnalazione non da lui effettuata avrebbe infatti la possibilità di avvisare prontamente le autorità per il furto di identità;

5) dopo l’inserimento di una segnalazione l’utente, accedendo al proprio account, potrà verificare lo stato di avanzamento delle denunce effettuate e le eventuali somme recuperate.

Se questa procedura permette di facilitare quanto più possibile le denunce di casi di evasione fiscale, per incentivarne anche l’utilizzo si potrebbe ulteriormente prevedere che le somme recuperate, a seguito di queste segnalazioni, siano destinate direttamente al Comune di residenza che le potrà utilizzare esclusivamente per ridurre il carico dei tributi locali e per il miglioramento dei servizi offerti ai cittadini. 

Cosa ne pensi di questa proposta? Lascia un commento