In un recente studio di due ricercatori dell’Associazione Bancaria Italiana, Daniele Di Giulio e Carlo Milani, è stata analizzata la relazione tra l’utilizzo delle carte di pagamento (bancomat e carte di credito) e l’economia sommersa (per scaricare lo studio clicca qui).
Infatti, se le transazioni effettuate tramite banconote sono completamente anonime, quelle effettuate tramite l’utilizzo delle carte non lo sono e per questo facilitano la tracciabilità dei movimenti effettuati e costituiscono un contrasto alle attività irregolari. La detenzione di banconote, specialmente di taglio elevato (500 euro), può avere tra le sue principali motivazioni proprio la volontà di evitare i controlli fiscali. Da ciò deriva che aumentare la diffusione delle carte di pagamento in Italia, a discapito del contante, potrebbe determinare dei notevoli benefici in termini di lotta al sommerso.
Nello studio si pone in evidenza come esista una relazione statistica tra la diffusione delle carte di pagamento e il tasso di lavoro irregolare, proxy del livello di economia sommersa presente su base territoriale. Stimando empiricamente questa relazione gli autori trovano quale potrebbe essere l’impatto sul tasso di lavoro irregolare, e quindi sull’economia sommersa, derivante da una maggiore diffusione delle carte di pagamento.
In particolare, Di Giulio e Milani stimano che un incremento di 10 punti percentuali della quota di famiglie detentrici di carte di debito/credito avrebbe l’effetto di ridurre il tasso di irregolarità di mezzo punto percentuale. Con riferimento alla situazione esistente negli ultimi anni di rilevazione, nell’ipotesi migliore in cui le carte di debito/credito si diffondessero anche presso tutte quelle famiglie che ne sono sprovviste, l’economia irregolare arriverebbe a perdere fino a due punti percentuali del suo bacino di utenza.
Posto che ogni punto di lavoro irregolare determina, in base ai dati Istat, circa un punto e mezzo di economia non osservata, l’effetto in termini di emersione del sommerso è stimato tra i 10 e i 40 miliardi di euro, pari all’incirca tra il mezzo punto e i 3 punti di Pil.
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