martedì 18 ottobre 2011

Gli studi di settore - Gli strumenti di lotta all’evasione utilizzati in Italia (2)

Di studi di settore si è cominciato a discutere in Italia nel 1993, anno in cui ancora era in vigore la famigerata minimum tax. Le polemiche sorte proprio con la minimum tax spinsero il legislatore a trovare uno strumento che trovasse più consenso tra commercianti, artigiani e liberi professionisti, nonché tra i commercialisti.

Gli studi di settore si basano su metodologie statistiche - anche molto complesse e per questo affidate ad un’apposita società (www.sose.it) - grazie alle quali poter stimare un livello plausibile di ricavi per ogni categoria di lavoratori autonomi. Se i ricavi dichiarati sono inferiori a questo livello plausibile l’amministrazione fiscale può avviare un accertamento.

Già da questi elementi si possono capire le molte differenze esistenti tra la minimum tax e gli studi di settore.

In primo luogo, questi ultimi non permettono all’amministrazione fiscale di avere un reddito di riferimento del contribuente in quanto si basano solo sui ricavi. I costi sono infatti tenuti fuori da questa procedura di calcolo. Questo è un grande limite degli studi di settore in quanto un contribuente può aver dichiarato dei ricavi congrui, ma poi averli dedotti con una serie di costi non pertinenti all’attività.

Inoltre, l’onere della prova sulla eventuale presenza di illeciti fiscali spetta all’ente accertatore.

In definitiva, il principio ispiratore degli studi di settore non è quello di eliminare tutta l’evasione, bensì quella di cercare di limitare l’evasione di chi dichiara ricavi molto inferiori a quelli degli altri contribuenti dello stesso settore. Questo strumento nasce quindi come un compromesso tra Stato e associazioni di categoria imprenditoriali, soprattutto di piccola dimensione, e come tale la sua capacità di arginare l’evasione è limitata.

Il peso delle lobby in questo ambito si osservò chiaramente nel 2007 quando furono decise dal Governo Prodi delle variazioni negli studi di settore non in accordo con le associazioni di categoria (a titolo di esempio si veda la reazione espressa in questo blog e l'immagine sottostante), variazioni che furono poi annacquate dal successivo Governo Berlusconi.

Immagine tratta da www.confesercentiumbria.it

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